È cominciata a settembre la serie di manifestazioni che da diversi anni caratterizzano l’autunno in Sardegna.

La più famosa è “Autunno in Barbagia”, nata nel 2001 come costola di “Cortes Apertas” (la cui prima edizione ebbe luogo a Oliena nel 1996) con lo scopo di promuovere i prodotti e le tradizioni e mettere in vetrina il patrimonio materiale e immateriale delle zone interne della Sardegna, dei piccoli borghi e paesi.
Si tratta di manifestazioni in cui, per due o tre giorni, nelle vie dei centri che aderiscono (nel 2022 oltre trenta), vengono allestiti stand espositivi, si aprono -dove presenti- le case antiche, le cortes; si organizzano sfilate in costumu, vanno in scena gli antichi mestieri e spettacoli folkloristici. Ma soprattutto si degustano e consumano prodotti tipici.
Obiettivi culturali ed economici, dunque, sono alla base di queste iniziative, le quali mirano a destagionalizzare il turismo e a rilanciare le zone interne dell’Isola.

Scoperta del territorio o inganno dell’autentico?

L’esempio di Oliena del 1996 fu seguito da altri comuni e, col tempo, nacquero anche altri eventi secondari. Alcuni di essi sono diventati più popolari e partecipati di altri, sono diventati quasi un brand e intercettano fondi cospicui.
Di anno in anno si sono registrati numeri sempre più elevati: a parte gli anni della pandemia, in base alle presenze stimate, questi appuntamenti con la scoperta del territorio sono molto partecipati e se ne parla in termini generalmente entusiastici.
Al netto del bilancio positivo, parametrato per lo più su un’idea di successo correlata al denaro e ai “grandi numeri” in termini di presenze, va detto che, negli anni sono emerse anche alcune perplessità.

Quale idea di Sardegna?

Vale la pena, forse, a distanza di trent’anni dalla prima edizione di Cortes Apertas, farsi delle domande per ragionare insieme su quale idea di Sardegna venga veicolata e condivisa attraverso queste manifestazioni.
Innanzitutto, bisogna intendersi sul significato che decidiamo di attribuire all’idea di “successo” (ne scrive qui Ignazio Caruso). Se si tratta di quantificare il flusso di arrivi e di denaro limitatamente ai giorni in cui si svolgono gli eventi, allora sì, è un successo.

Se non ci si volesse accontentare di questo bisognerebbe spostare l’orizzonte oltre quei giorni e vedere -ad esempio- se le imprese locali sono coinvolte in progetti di sviluppo a lungo termine o se tutto si esaurisce in un fine settimana.
I processi economici che prevedono l’immissione di flussi di denaro una tantum in realtà povere, sono essenzialmente forme di assistenzialismo le quali alimentano i rapporti di subalternità, come scrive Danilo Lampis: alle comunità coinvolte non vengono davvero forniti gli strumenti per diventare soggetti produttivi che si possano promuovere nell’ambito di un grande evento. Basta recarsi in quegli stessi borghi dopo “Autunno in Barbagia” per constatarne lo stato di spopolamento e di difficoltà economica generalizzata. Ciò dimostra che la ricaduta economica sui territori non è frutto di una visione a lungo termine che abbia come obiettivo sostenere le imprese locali e creare reti produttive ad ampio raggio, virtuose e sostenibili.

La tradizione come prodotto di consumo

Volendo prendere in considerazione il presupposto culturale, ovvero valorizzare le tradizioni dell’Isola, prima di stabilirne la riuscita, occorre chiarirsi le idee sui processi di trasformazione di ciò che è considerato “tradizionale” in prodotto di consumo.
Non è un passaggio banale perché tali processi sono alla base di un intero sistema economico, narrato come salvifico. In questo sistema si “vende”, in chiave folkloristica, una certa idea di Sardegna (basata perlopiù su stereotipi) ai turisti-consumatori, cercando di incontrare le loro aspettative.
Il folklore in Sardegna è (non solo, ma spesso) la rappresentazione pittoresca, con finalità di intrattenimento, del patrimonio immateriale popolare: la musica, gli abiti tradizionali, gli antichi mestieri.
È dai primi anni del Novecento, ma soprattutto con il boom economico, che si è diffusa questa pratica, molto apprezzata anche da chi in Sardegna ci vive, dove poche persone si interrogano su quanto ci sia di “davvero” tradizionale nel modo in cui queste rappresentazioni vengono messe in scena. E dove lo si fa? Nel cuore della Sardegna genuina, quella vera, dove si incontrano i sardi veri, quella dell’interno, identificata con la Barbagia, un luogo che rischia di esistere più nell’immaginario che nella realtà.
La banalizzazione e l’appiattimento di elementi culturali complessi e profondi sono una conseguenza della “folklorizzazione della memoria”. Si intuisce dalla tendenza alla replica in serie degli stessi eventi, in cui cibi e rituali sono raccontati come simboli di autenticità, ma spesso vengono decontestualizzati e spogliati dei loro significati. 

Destagionalizzare: un obiettivo mancato?

Quest’ultimo punto ci consente di aggiungere un tassello ulteriore: Cortes Apertas nasceva con l’obiettivo di destagionalizzare il turismo, eppure le migliaia di visitatori che affollano i borghi aderenti provengono dalla Sardegna. Il dato dimostra il desiderio da parte delle persone sarde di recuperare il contatto con le proprie radici, un desiderio legittimo di risposte che evidentemente non si ha la sensazione di poter trovare fuori da certe cornici. Fatte di luoghi sovraffollati e di stereotipizzazioni culinarie, artigianali e rituali, in una sorta di parco giochi delle “cose di Sardegna”.
Un’idea che viene veicolata dal marketing turistico e non solo determina le aspettative di chi arriva da fuori, ma intercetta anche la voglia di risposte, il desiderio di riscoprire le proprie radici da parte delle sarde e dei sardi stessi. 
Perché? La risposta è semplice: la Sardegna è sconosciuta alla maggior parte delle persone che la abitano. È quasi un non-luogo dove, spesso, l’immaginario narrativo è più forte della realtà; dove insistono costrutti talmente ben strutturati da diventare certezze. Dove il concetto stesso di identità è il prodotto non della consapevolezza di sé, ma di una revisione filtrata da modelli esterni.

Cortes Apertas e Autunno in Barbagia non sono, di per sé, il male.

Basta essere coscienti dei loro presupposti e di cosa stia accadendo davanti a noi.
Tra una degustazione e l’altra chiediamoci cosa stiamo cercando; se ci sentiamo a casa perché è il contesto giusto per ritrovare noi stessi o se ci sentiamo rassicurati dalla ripetizione statica di ciò che ci viene da sempre raccontato, e a cui ci siamo conformate e conformati.

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