La lotta contro la speculazione energetica in Sardegna: il progetto Eleonora
Le dinamiche di conflitto attorno alla conversione ecologica sono anche identitarie. Le lotte per la difesa del territorio da parte delle comunità locali non si combattono solo sul piano giuridico, ma anche su quello narrativo, sul piano identitario: quello dei significati, dei simboli e delle parole. Retoriche e modalità comunicative legate al senso di identità e di appartenenza hanno sempre avuto un ruolo importante e tralasciarle impedisce di comprendere la natura del movimento sardo contro la speculazione energetica.
L’installazione di parchi eolici o impianti per lo sfruttamento del sottosuolo è un fenomeno ricorrente: già dai primi anni del 2000 si assiste in Sardegna a periodi in cui la richiesta di autorizzazioni si fa pressante. Solo tra il 2001 e il 2004, su un totale di 368, 88 istanze riguardarono l’Isola.
Il caso del Progetto Eleonora del 2009 finalizzato allo sfruttamento del sottosuolo nella provincia di Oristano è emblematico perché la popolazione si batté anche per rivendicare la propria memoria storica oltre che il diritto a decidere del proprio territorio.

Il paesaggio è identitario? Spoiler: sì
Ai luoghi è ancorata l’identità individuale, con la costruzione di un senso di appartenenza basato, tra le altre cose, sul legame affettivo che instauriamo con uno o più contesti, su una familiarità personale e profonda con ciò che quel luogo rappresenta (sul piano del concreto e dell’intangibile).
Ma non solo: ai luoghi è strettamente connessa anche l’identità collettiva, nel senso che in essi ci si riconosce anche come membri di una comunità radicata in un dato territorio con le sue specificità paesaggistiche.
Le alterazioni del contesto in cui ci si identifica producono conseguenze, dunque, che hanno un impatto sia sugli individui che sulle comunità ed è un impatto profondo, che ha a che fare con le relazioni sociali, con la percezione di sé e con la rinegoziazione dei valori collettivi.
La gestione del territorio spesso richiede trasformazioni significative, specie quando si parla di transizione energetica, e fa nascere conflitti e attriti perché, per quanto vengano narrati come tali, i concetti di crescita, sviluppo e sostenibilità, non sono universali.
I soggetti che detengono il potere narrativo ed economico (istituzioni e privati) promuovono iniziative di sviluppo secondo un modello che prevede di far crescere costantemente la curva della crescita conciliandola con la sostenibilità. Per persuadere la popolazione il fronte industriale utilizza la retorica delle opportunità e del contributo alla transizione ecologica, ma anche simboli ed elementi identitari.
Ne risulta spesso una visione idealistica ed eccessivamente ottimista che tralascia gli effetti negativi e le conseguenze sui territori ed esclude la popolazione residente, mettendo da parte i diritti di chi abita i luoghi interessati e sminuendo le ragioni del dissenso o il “valore” del paesaggio.
Il progetto Eleonora
Nel 2009 la Regione Sardegna concesse alla società Saras S.P.A. un permesso di ricerca per idrocarburi liquidi e gassosi in un’area di 44.300 ettari della provincia di Oristano, che si estende dal Terralbese fino al Sinis. Le ricerche evidenziarono la presenza di potenziali giacimenti di gas naturale nel sottosuolo e, nel 2011, una società sotto il controllo della Saras presentò uno studio per la realizzazione del primo di una serie di pozzi esplorativi, denominato “Eleonora 01-Dir”, a cinque km dal centro abitato di Arborea. Proprio “dove un tempo c’era il Regno d’Arborea, “di quella Eleonora che da Giudicessa divenne mito”, come scrisse il web magazine italiano Green News in un articolo del 2011 dal titolo “I Moratti trovano il gas metano in Sardegna”.
Si scelse non a caso di fare leva su elementi identitari molto radicati per spiegare alla popolazione di Arborea i potenziali vantaggi economici, sociali e anche industriali del Progetto Eleonora.
Il periodo giudicale rappresenta un momento fondamentale della storia sarda, dirimente per la costruzione di un’identità di popolo perché considerato un momento di autodeterminazione nazionale fondata sull’autogoverno.
A partire dall’XI secolo la Sardegna risultò divisa in quattro regni autonomi chiamati Giudicati (Cagliari, Torres, Arborea e Gallura). L’ultimo a cadere dopo una lunga guerra con Aragona fu quello di Arborea, nel XV sec.
Quella di Eleonora d’Arborea è una figura simbolicamente forte che nell’Ottocento fu oggetto di un processo di mitizzazione e strumentalizzazione (il suo tentativo di riunificare la Sardegna scacciando gli Aragonesi fu illegittimamente accostato all’unificazione dell’Italia).
Il nome del progetto non fu, quindi, casuale: nel conflitto che si delineò furono centrali retoriche e dinamiche comunicative legate al senso di identità e di appartenenza.
Il ruolo della narrazione
La lotta si combattè, dunque, sul piano narrativo oltre che su quello giuridico.
Invece che partecipare all’assemblea aperta organizzata dalla società, i cittadini si mobilitarono con una manifestazione in cui i partecipanti (richiamati dai comitati da tutta la Sardegna) portarono un pugno di terra da ogni paese da depositare in un grande vaso un albero di acero, il simbolo della bandiera del Giudicato d’Arborea.
Compiendo quel gesto collettivo la popolazione si identificò come un popolo e si riappropriò della narrazione sulla propria storia e sui suoi simboli contro ogni tentativo di distorsione o usurpazione.
Il legame con il territorio e il paesaggio stesso hanno valore identitario e questo si andò in quel caso a sommare al dissenso verso un modello di sviluppo ancorato alla politica industriale degli anni Sessanta che portò inquinamento e disoccupazione più che progresso.
Gli abitanti di Arborea rivendicarono il valore affettivo oltre che storico del lavoro trasformativo compiuto dagli allevatori e agricoltori sul territorio. I campi, i canali, le pinete e gli stagni, i colori e gli odori, i rumori furono (e sono!) considerati beni identitari. Beni di grande valore per i residenti.
La controparte, stando allo studio preliminare, aveva definito quel territorio di valore medio-basso in base a dei criteri completamente diversi, quali “la sensibilità paesaggistica” o “le componenti estetico-visuali”, senza tenere in considerazione il valore sociale e comunitario attribuito all’attività umana locale e alla sua sostenibilità.
Collettività e valori nella difesa del territorio
Le questioni identitarie sono centrali negli attriti che riguardano i beni collettivi, ma spesso tali attriti vengono ricondotti ad atteggiamenti egoistici che antepongono la salvaguardia dei propri interessi alla lotta al cambiamento climatico. Si tratta della cosiddetta sindrome di Nimby (not in back yard). L’accusa rivolta ai movimenti popolari è di rifiutarsi di “fare la propria parte”, facendo prevalere il proprio interesse su quello collettivo.
Questa forma di colpevolizzazione è frutto di un’ interpretazione superficiale e riduzionistica delle ragioni che muovono i comitati perché a essere oggetto di rivendicazione sono questioni di ben più ampio respiro.
Come il diritto di decidere, l’autodeterminazione, la libertà di costruire un futuro compatibile con le vocazioni del territorio e di opporsi a decisioni prese altrove funzionali alla privatizzazione delle risorse con la collettivizzazione degli effetti negativi senza prevedere nessuna ricaduta reale sul territorio.
Dopo cinque anni di lotta il Progetto Eleonora fu respinto dal Consiglio di Stato nel 2016 per incompatibilità con il Piano paesaggistico regionale e quello urbanistico comunale di Arborea.
La foto è di Paolo Mazzolari
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