Dall’immaginario turistico alla realtà

L’immaginario sulla Sardegna “selvaggia e incontaminata” è elemento centrale nelle campagne di marketing turistico: si punta su paesaggi “non intaccati”, tradizioni culturali percepite come autentiche anche perché non moderne. (La Sardegna remota non nella dimensione spaziale, ma temporale)
Nella prima parte di questo ragionamento ho parlato di come il concetto di natura selvaggia sia un costrutto moderno e uno strumento del potere coloniale e patriarcale; il ragionamento è proseguito con il collegamento con il contesto sardo. Il mito dell’Isola selvaggia e incontaminata è frutto di un’idea primitivista, ma è servito anche a rafforzare l’idea di un’identità sarda fissa, naturale e immutabile. I rischi dell’essenzialismo sono il ripiegamento su di sé, ma soprattutto l’impedimento all’esercizio di una piena soggettività, possibile grazie alla presa di coscienza di sé e allo slancio alla relazione paritaria. Non chiusura, ma internazionalizzazione emancipata e libera, rinnegando l’immagine da cartolina e tornando a essere comunità narrante.
In questa seconda parte vedremo come l’idea di natura selvaggia e incontaminata venga trasformata in prodotto di consumo nel marketing turistico, ma anche come si leghi al paradosso dell’autenticità, con tutti i suoi limiti.
Il turismo è una pratica dalla matrice coloniale, non esiste nella variante sostenibile: perché lo sia dovrebbe cessare come fenomeno, ma è qui per restare e crescere.
Replica e accentua le disuguaglianze: per questo motivo non è possibile parlare del turismo in Sardegna senza considerare il quadro di disparità in cui è inserita.
Ciò consente non solo di ridimensionare l’idea del turismo come volano di sviluppo, ma anche di metterci in guardia dalla pratica turistica come ennesima forma di estrattivismo.
Il turismo ha tradotto in un progetto concreto, direttamente funzionale sul piano economico, sociale e politico, l’immagine di primitività di cui l’isola è stata dotata da quando è nell’orbita culturale italiana, utilizzando il patrimonio sardo in un’opera di espropriazione e acculturazione radicale. Andria Pili
Ma quale natura selvaggia…
La “natura selvaggia” che i turisti visitano è in realtà addomesticata attraverso percorsi, infrastrutture, interventi di tipo naturalistico e turistico, trasformandosi in una natura-spettacolo, lontana dall’idea di “incontaminato”. Dove non di rado l’autentico viene messo in scena.
Il turismo, pratica occidentale e occidentalizzante, è, come spiega Andria Pili nel saggio “Per una critica decoloniale del turismo in Sardegna”, nel volume Logus e Logos di Filosofia de Logu, è anche “un mezzo di costruzione di identità subalterne”.
Il processo di turistificazione “vende” l’idea di una Sardegna “autentica”, “genuina”, di una Sardegna “vera”, che affonda le sue radici nell’impianto primitivista tipico degli autori ottocenteschi.
Mercifica la Sardegna come periferia di un’ Europa, lontana non tanto nello spazio quanto nel tempo, appunto ‘primitiva’ e ‘selvaggia’. È un’isola vicina geograficamente, ma in verità distante perché remota sotto il profilo temporale.
Come documenta Gino Satta nel suo Turisti a Orgosolo (2001), il turismo nelle aree interne si fonda proprio su questa costruzione: la “Sardegna pastorale” diventa un’attrazione che risponde alle aspettative di autenticità e natura incontaminata, proponendo ai visitatori un’esperienza costruita su stereotipi di arcaicità e tradizione immutabile. Questa mercificazione culturale, se da una parte favorisce visibilità e riconoscimento, dall’altra rischia di cristallizzare le identità locali in immagini statiche e folkloriche, riducendo le dimensioni complesse e fluide del sociale e dell’ambiente a semplici prodotti turistici.
Tale dinamica, oltre a orientare la percezione esterna e interna dell’isola, può rafforzare narrazioni idealizzate che occultano le problematiche ambientali reali, come le contaminazioni nei siti minerari, la pressione sulle risorse naturali e i cambiamenti climatici in atto. In questo modo, la retorica dell’incontaminato assume anche una funzione ideologica, mascherando conflitti, degrado e processi di trasformazione sociale dietro un velo rassicurante e commerciabile di “naturalezza” e “autenticità”.

Limiti, contraddizioni e problemi ambientali
La Sardegna è interessata da estese aree minerarie, industriali, militari, per esempio nel Sulcis-Iglesiente-Guspinese e nell’area di Sassari-Porto Torres, entrambe ufficialmente classificate come Siti di Interesse Nazionale (SIN) per la bonifica ambientale.
Secondo il Piano Regionale di Bonifica dei Siti Inquinati della Regione Sardegna e i monitoraggi periodici effettuati da ARPAS (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Sardegna), tali aree presentano elevate concentrazioni di metalli pesanti e altri inquinanti pericolosi nel suolo e nelle acque sotterranee, che rappresentano una minaccia significativa sia per gli ecosistemi sia per la salute pubblica.
In riferimento all’industrializzazione, con la Legge 588 del 1962 lo stato italiano finanziò un significativo intervento sull’Isola. Teoricamente con la finalità di riformare il settore primario e in particolare l’agricoltura. In pratica, invece, quegli interventi privilegiarono l’industrializzazione. Vennero creati 2 poli, uno a Porto Torres e uno a Sarroch, davanti al nuraghe Antigori e nei pressi di paesi, località balneari e del Parco Naturale Regionale del Gutturu Mannu.
Turismo, industrializzazione, militarizzazione, speculazione energetica, gentrificazione: la Sardegna e la sua popolazione si trovano nell’intersezione di queste forme di estrattivismo.
Giova inoltre ricordare che le località costiere sarde sono sempre più affollate da imbarcazioni, di lusso e non: gli scarichi non depurati provenienti da yacht, gommoni e barche da diporto, soprattutto se non gestiti correttamente o scaricati illegalmente in mare, possono veicolare batteri fecali e agenti patogeni, compromettendo la qualità delle acque di balneazione e la salute pubblica. Il fenomeno è esacerbato dalla crisi climatica in atto.
Nonostante siano attivati interventi di bonifica, questi risultano spesso limitati per estensione e efficacia rispetto alla vastità delle aree compromesse. Gli effetti di questo tipo di turismo sono collettivizzati (le ordinanza vietano la balneazione), mentre i benefici non sono redistribuiti.

Basi militari e ambiente
Mentre turisti ignari occupano spiagge, svolgono trekking, fanno kayak e si godono quella che “consumano” come natura incontaminata, a pochi km da loro l’ambiente subisce un deterioramento continuo e normalizzato.
Ad esempio a Quirra, che, con la spiaggia di Murtas, è considerato uno dei tratti litoranei più suggestivi della Sardegna. Ogni anno viene chiuso in autunno e inverno e riaperto perché è zona militare.
E le riaperture vengono festeggiate, neanche fossero una gentile concessione.
La base militare di Quirra fu istituita nel 1956.
Il territorio in cui si trova (12.000 ettari nel comune di Perdasdefogu e un poligono a mare di 2000 ettari nel comune di Villaputzu) è interessato dalla Servitù Militare, un istituto della legge italiana che impone limitazioni alle zone vicine agli impianti del Demanio militare.
In Sardegna l’area totale destinata ad uso militare è pari a 373,72 km.
Quirra è stata teatro di esercitazioni di vario tipo: esplosioni di missili, ad esempio, tra cui i Milan francesi che rilasciavano sostanze radioattive. Tra il 2012 e il 2013 la procura di Lanusei avviò un’inchiesta che vide sotto accusa venti persone, tra cui sette generali, per aver nascosto il disastro ambientale. Secondo gli attivisti e la procura, centinaia di persone si sono ammalate di tumore a causa delle sostanze nocive liberate nell’ambiente. Malattie e deformità si diffusero anche tra gli animali da pascolo. Le proteste sono state contrastate dalle amministrazioni e da parte della popolazione, in difesa del sistema economico che ruota attorno alla base (non solo militari ma anche civili che lavorano ad esempio alla Vitrociset, azienda legata all’Aeronautica).
Il processo si è concluso nel 2021. Per il disastro di Quirra, secondo i giudici, non c’è nessun colpevole, nonostante sia stata riscontrata presenza di metalli pesanti negli organi di diversi animali.
Nei giorni scorsi il collettivo A Foras, il quale riunisce organizzazioni, comitati e persone che si battono contro l’occupazione militare in Sardegna, ha reso noto che “con ordinanza del 18 luglio la Prefettura di Cagliari ha interdetto le aree del Poligono di Capo Teulada date in concessione per attività agropastorali. La motivazione è “una situazione di rischio per superamento delle Concentrazioni soglia di contaminazione del suolo”.”
Questi sono solo alcuni esempi.
Più del 60% del demanio militare italiano si trova in Sardegna.
Il mito della Sardegna selvaggia e incontaminata invisibilizza i problemi che affliggono il territorio sardo: l’immaginario della Sardegna come paradiso maschera le pratiche di esclusione, l’inquinamento irreversibile.

Esiste il turismo sostenibile? Spoiler: no
Il caso dello sversamento di residui inquinanti nelle acque della spiaggia di Piscinas, in Costa Verde, divenuto virale sui social network nel marzo 2024, è emblematico. La copertura della vicenda è stata segnata da una certa imperizia informativa. Paradossalmente, la principale preoccupazione espressa da alcune istituzioni locali non è stata la tutela della salute pubblica o dell’ecosistema, bensì la salvaguardia dell’immagine turistica della spiaggia.
Il turismo sostenibile non esiste: bisognerebbe partire da questo. Da come ci si può convivere, invece che come fare a vivere di esso. Sarebbe una prospettiva rivoluzionaria. Significherebbe far partire la progettazione dall’idea che il turismo vada arginato, gestito. Vorrebbe dire chiedersi come tutelare territori e comunità dall’impatto inevitabile di questo fenomeno globale. Ribaltandola del tutto, l’ottica globale.
L’idea che i bisogni dei turisti e dei residenti coincidano si è già rivelata fallace: i turisti non sostituiscono i residenti, non partecipano davvero alla vita delle comunità.
Sono ormai numerosi gli studi che dimostrano come la qualità di vita delle persone residenti non sia stata migliorata dai servizi implementati in chiave turistica.
Il risultato delle politiche (urbanistiche e non) portate avanti in questo senso hanno condotto all’abbandono progressivo dei cosiddetti “centri storici” da parte della popolazione autoctona e ai disastri della gentrificazione.
La Sardegna dovrebbe vivere di turismo?
L’uso delle stesse logiche, talvolta della stessa terminologia per parlare sia di turismo che di spopolamento mi sembra preoccupante, in quanto rivelatore della mancata consapevolezza in merito al fatto che i territori già fragili sono maggiormente esposti a speculazione, gentrificazione, trasformazione dei paesi in contenitori vuoti da confezionare in modo conforme all’estetica del borgo. E da riempire secondo l’utopia dei “giardini ben curati”, ignorando come questa possa rappresentare un gesto anche “violento” e impositivo.
Il turismo ci chiama prepotentemente in causa rispetto alla questione di classe. I servizi orientati a una clientela di lusso ed extra lusso, quando trasformano i piccoli paesi in location e mercificano pratiche del quotidiano come “autentiche”, calano persone ricche in realtà con risorse finanziarie esponenzialmente inferiori, per il gusto di fare un’esperienza vita diversa, più semplice, lenta* (=povera, ma più pura.)
Cosa che è intrattenente perché prevede la rimozione di ogni scomodità.
L’esempio di altri Paesi andrebbe considerato nel suo complesso, e non limitandosi a selezionarne alcune parti. Quelle che fanno comodo alle idee di sviluppare nuovi target, come ad esempio quello dei nomadi digitali. Portogallo, Spagna, Catalogna sono spesso citati come esempi virtuosi per le agevolazioni che li hanno favoriti, per non dire privilegiati, come mi ha fatto notare Alice Orrù. Ebbene, oggi in entrambi i casi si fanno i conti con i danni di quelle misure. Il Portogallo ha deciso di revocare i cosiddetti “visti d’oro” e l’amministrazione di Barcellona negozia la riduzione del numero di terminal delle navi da crociera, limita gli affitti brevi e promuove politiche per risolvere la crisi abitativa. Pensare che turismo, ripopolamento e colonialismo non siano collegati è un’illusione.
La Sardegna dovrebbe vigilare maggiormente.
In proposito consiglio un approfondimento della giornalista Roberta Cavaglià e, per le persone abbonate, l‘intervista a Ada Colau uscita su Globo nel novembre del 2024.

Decostruire, decolonizzare, redistribuire
La decostruzione del mito della Sardegna “selvaggia e incontaminata” non implica negare la bellezza e la specificità multisfaccettata dell’isola, ma piuttosto raccontarla per quello che è, smettendo di perpetuare l’opposizione artefatta tra una Sardegna autentica e una Sardegna che lo è meno.
Solo attraverso questa presa di coscienza sarà possibile rivendicare, per la Sardegna e a chi la abita, il diritto a una soggettività piena, non subordinata agli sguardi e alle aspettative esterne.
La sfida è dupilce.
Da un lato, occorre superare l’eredità coloniale che ancora permea le rappresentazioni dell’isola. Serve costruire narrazioni alternative che abbraccino il presente e le sue contraddizioni, abbandonando l’immaginario rassicurante ma falso dell’incontaminato.
Dall’altro, bisogna contrastare l’uniformizzazione della globalizzazione – quella ripetitiva e stanca che si limita a inventare nuovi bisogni invece che impegnarsi a valorizzare le specificità locali.
La pratica turistica dovrebbe favorire relazioni coi luoghi che tutelino le comunità: se gli scambi non sono alla pari, dovrebbe prevedere il riconoscimento delle disuguaglianze e forme concrete di redistribuzione.
*la “vita lenta” è un’invenzione contemporanea, declinazione del mito del buon selvaggio, frutto di un atteggiamento benevolo e paternalista che idealizza la popolazione indigena, intesa come moralmente “integra”, ma anche ingenua, felice “anche se povera”, dallo stile di vita non moderno, arcaico, depositario di autenticità e genuinità.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:
Satta, Gino, Turisti a Orgosolo. La Sardegna pastorale come attrazione turistica, Liguori, 2001
S’Indipendente, “Inquinamento a Piscinas e narrazioni sulla Sardegna: un’occasione persa per una presa di coscienza collettiva?”, 28 marzo 2024
Andria Pili, “Per una critica decoloniale del turismo in Sardegna”, in Logus e Logos, Filosofia de Logu – vol. II
Nicola Casu, Gestione sostenibile delle aree minerarie in Sardegna, Cagliari, 2020
Legambiente Sardegna – Goletta Verde, report annuali 2018-2023
Collettivo A Foras, comunicati sulla contaminazione militare
Assemblea Natzionale Sarda, “Le Servitù Militari spiegate semplicemente”
Regione Sardegna, Piano di Tutela delle Acque, 2005
Regione Sardegna, Piano Regionale Bonifica Siti Inquinati, 2023
ARPAS Sardegna, Rapporti annuali su qualità ambientale e monitoraggi, 2019-2024
Lombardi Vallauri, Edoardo, Natura selvaggia, 2009
Nadotti Cristina, Il turismo che non paga, 2025
Cristin Rodolphe, Manuale dell’antiturismo, 2022
Del Bo’ Corrado, Etica del turismo, 2017
Onnis Omar, Tutto quello che sai sulla Sardegna è falso, 2013
Pintus Benedetta, Il vostro paradiso è la nostra casa, in Menelique n 8, 2022


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