Tra passato coloniale e sfide globali: un’isola contesa che difende la propria identità

Fonte foto: LaRegione
Si sta parlando tanto della Groenlandia in questo periodo, soprattutto per l’affermazione del presidente americano di “volerla comprare”. L’11 marzo si vota per il rinnovo del Parlamento, cosa che ha riacceso il dibattito sull’indipendenza dell’isola: le conseguenze del voto potrebbero essere dirimenti per il futuro della nazione.
Le vicende che la riguardano possono dirci qualcosa sulla Sardegna?
La Groenlandia è oggi un protettorato, cioè un territorio autogovernato all’interno del Regno di Danimarca, ma fino al 1953 era una colonia. Dal 2009 alla capitale Nuuk è concesso di dichiarare l’indipendenza, mentre la Danimarca è responsabile della sicurezza dell’isola e della politica estera.
Gli Stati Uniti hanno costruito basi militari sull’isola all’inizio della seconda guerra mondiale e poi durante la guerra fredda. Nel 1946, alcuni funzionari statunitensi offrirono addirittura di acquistare la Groenlandia dalla sua potenza coloniale, la Danimarca, per 100 milioni di dollari in lingotti d’oro, una proposta ripetuta recentemente da Donald Trump. Oggi è un’isola contesa non solo per le risorse minerarie, ma anche perché il progressivo scioglimento dei ghiacci consentirà l’aperture di nuove vie di comunicazione strategiche e si potrà praticare il turismo con continuità.
Circa l’89% della popolazione è costituita da Inuit groenlandesi: parte della popolazione non sarebbe disposta (cito un’intervista riportata dal Sole24 ore) a “scambiare un colonizzatore con un altro”. Sembrerebbe che non ci siano molti dubbi sulla distanza culturale che esiste tra Inuit e americani, e tra la cultura locale con la cultura danese.
La questione dell’indipendenza è però controversa per via dei dubbi sul fatto che una popolazione con tassi di istruzione bassi riesca a fronteggiare le sfide geopolitiche e anche ad autoamministrarsi.

Niviaq Korneliussen, foto da Caos Cultura
La scrittrice Niviaq Korneliussen, una delle più importanti voci letterarie della Groenlandia, intervistata su questo afferma: “La Danimarca non ha voluto sviluppare la Groenlandia, ma colonizzarla. Con l’estrazione di metalli dalle nostre miniere abbiamo saputo che il governo di Copenhagen ha costruito chiese in Danimarca”. Quando le viene fatto notare che il governo danese ha costruito ospedali e scuole in Groenlandia, lei risponde: “è vero: il fatto è che il sistema scolastico è molto danese e noi non siamo danesi. Il tipo di sviluppo che è stato previsto non ha mai tenuto conto delle nostre specificità culturali e geografiche”.
Secondo Korneliussen la distanza con la Danimarca rischia di aumentare ulteriormente se sarà riconosciuta la storia e la geografia della Groenlandia. Dice “noi siamo considerati un fardello” e ancora “non vogliamo fare la fine dell’Islanda” in riferimento al modello turistico che hanno deciso di implementare. “Siamo terrorizzati dalle crociere: quei turisti non portano ricchezza alla Groenlandia e non sono compatibili con il nostro delicato ecosistema”.
Qui trovi una bella intervista a Niviaq Korneliussen, pubblicata da Rivista Studio.
Il turismo in Groenlandia, un tema che divide
Nel dicembre scorso il Guardian ha pubblicato un articolo molto interessante sulle preoccupazioni suscitate dal crescente interesse verso la Groenlandia come meta di un turismo sempre più di massa.
I voli diretti dagli Stati Uniti a Nuuk dovrebbero raddoppiare nel 2025: ci sono preoccupazioni per l’afflusso previsto. Il nuovo aeroporto della capitale è stato inaugurato, altri due sono in costruzione e le aspettative sono alte: gli americani stanno arrivando in Groenlandia.
A partire da giugno 2024, la United Airlines effettua un volo non stop di quattro ore dall’aeroporto internazionale Newark Liberty nel New Jersey a Nuuk.
Si tratta del primo volo diretto per la Groenlandia dagli Stati Uniti ed è considerato l’inizio di una nuova era. Tra aprile e agosto 2024, le compagnie aeree hanno effettuato voli per un totale di 55.000 posti in Groenlandia; ci si aspetta che la cifra raddoppierà fino a raggiungere circa 105.000 posti. Sono numeri enormi per un Paese nel quale gli spazi abitabili dalle persone sono estremamente ridotti rispetto alle dimensioni del territorio, dominato dalla natura.
Sebbene i sondaggi indichino un forte sostegno all’aumento delle dimensioni del settore turistico, le comunità esprimono preoccupazioni, in particolare per il deterioramento della bellezza del territorio e per il potenziale di appropriazione dei profitti da parte di compagnie straniere. Quest’estate, una nave da crociera che cercava di entrare nel porto di Ilulissat è stata bloccata perché prevedeva servizi erogati da operatori turistici di proprietà straniera e portava con sé le proprie guide.
In vista delle elezioni il governo aveva risposto alle preoccupazioni, approvando una controversa legge sul turismo entrata in vigore a gennaio.
La legge prevede un sistema di classificazione delle aree della Groenlandia in zone verdi, gialle e rosse, limitando l’accesso alle aree “ad alta sensibilità” per proteggere i delicati ecosistemi, già messi sotto pressione dall’emergenza climatica; i siti del patrimonio culturale e le zone di caccia tradizionali. Ci saranno anche nuovi requisiti di proprietà per le imprese turistiche. La licenza turistica sarà concessa solo a chi è registrato in Groenlandia e vi paga le tasse. Almeno due terzi del capitale e dei diritti di voto di una società a responsabilità limitata devono essere di proprietà di un cittadino locale.
Basterà ad arginare l’impatto del turismo?
Cosa c’entra la Groenlandia con la Sardegna
Sulla natura coloniale delle relazioni tra Groenlandia e Danimarca non vi sono dubbi: è un dato storico.
Quanto influisca la consapevolezza di questo aspetto sull’identità e sulle scelte delle persone Inuit non è così scontato.
La scrittrice Niviaq Korneliussen rifiutava la lettura postcoloniale della sua opera “Homo sapienne” (2014): diceva di voler trattare altre questioni, poi ha cambiato idea perché dice di essersi resa conto che tutto quello che scrive è post coloniale, perché scrivere le storie dei groenlandesi comporta una responsabilità. Non se ne parla spesso: di solito sono i danesi a farlo e questo per Korneliussen è problematico perché “devi conoscere da dentro una società per poterla raccontare”.
Un secolo fa l’antropologo danese Knud Rasmussen descriveva la Groenlandia come una terra dove la natura è matrigna, sempre ostile, pronta a rapire vite, raccontando storie che oggi sono considerate mere leggende, miti. Non esistono né fate né magie, ma gesti quotidiani, la vita di tutti i giorni.
Dirimente per Korneliussen è stato scoprire che dopo il 1953, dopo la modernizzazione forzata del Paese il tasso di suicidi aumentò drasticamente, segno di una profonda infelicità e perdita di identità.
Se nemmeno in un contesto dove il passato coloniale è assodato i processi di decolonizzazione non sono scontati, cosa può accadere nei luoghi come la Sardegna dove i fenomeni della modernizzazione passiva e della colonizzazione interna sono invisibilizzati e non riconosciuti?
Se la matrice che genera alcune delle condizioni di subalternità sofferte dalla popolazione non è argomento di discussione, come si può pensare di agire a livello collettivo per fronteggiare le sfide globali a cui andiamo incontro?
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