
La morte di personaggi come Karim Aga Khan IV suscita sempre reazioni e prese di posizione utili a riflettere sui modi di rappresentazione di sé come persone sarde. Descritto come lo scopritore del territorio dei Monti di Mola, ha contribuito a creare il mito del turismo in Sardegna. O perlomeno di un tipo di turismo: quello della Costa Smeralda come destinazione di vacanza per personaggi famosi, persone ricche in genere e appartenenti al mondo della politica.
Il nome Costa Smeralda non è un toponimo, è un marchio, un brand.
È di proprietà dei Servizi Consortili, “braccio operativo del Consorzio Costa Smeralda”.
Sul sito si legge, testualmente: il marchio rappresenta uno dei beni capitali del Consorzio.
Pertanto la proprietà intellettuale del marchio è tutelata affinché non sia usato per indicare genericamente un’area geografica in cui altri soggetti o gestori di servizi possono avvantaggiarsi dell’immagine del brand per sponsorizzare le proprie attività.
Parliamo quindi più di un concetto che di un luogo. Cosa significa?
Che rappresenta un’idea metaforica di una destinazione esclusiva con un orientamento marcato verso il lusso. Il rispetto per la natura e l’ambiente fa parte del concetto: è un elemento che accresce il prestigio del marchio, di chi lo gestisce e di chi si può permettere di esserne consumatore. Fa parte dello storytelling, crea una mitologia pervasiva ed efficace.
La retorica del rispetto ambientale
L’integrazione paesaggistica e la conservazione dell’ambiente naturale vengono narrati come sinonimo di rispetto e sensibilità, di attenzione verso la sostenibilità.
Il territorio era di grande pregio ambientale, ma privo di servizi e infrastrutture. I Monti di Mola erano visti e vengono raccontati come un territorio povero ed economicamente depresso da salvare. Il mancato superamento del concetto di povertà assoluta (da rimodulare con quello di povertà relativa) ha comportato -e comporta- la contrapposizione tra il contesto locale e “il modello Costa Smeralda”, promessa di sviluppo, modernità e ricchezza (ma per chi?)
– Monti di Mola= povertà, mancanza di servizi e infrastrutture, terra lussureggiante e vergine
– Costa Smeralda= ricchezza, modernità, felicità.
È un falso confronto che replica dinamiche di stampo colonialista, dove la condizione di “povertà” è necessaria, è il presupposto su cui si fonda la prospettiva del profitto.
Ecco che l’intervento di grandi imprenditori, ricchi dirigenti e uomini d’affari diventa provvidenziale.
E la popolazione locale?
È progressivamente esclusa dai benefici per diventare parte dei processi di folklorizzazione a vantaggio del turista/consumatore e/o assumere ruoli subalterni. Le élite locali si integrano nel sistema, compartecipano alla riproduzione di un modello economico orientato al privilegio e che si fonda sulle disuguaglianze.
La figura di Aga Khan rispecchia l’archetipo di chi, pur non essendo sardo, ha visto un “diamante grezzo”, ha “voluto” (da imprenditore più attento di altri) “migliorare la situazione” (= povertà, arretratezza e sottosviluppo).
Giova ricordare che tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta alcuni movimenti ambientalisti locali si opposero a un’ulteriore espansione delle costruzioni all’interno del Consorzio Costa Smeralda, cosa che fu vietata dalle successive normative.
Che si consideri virtuoso o meno quel modello di sviluppo, non si può negare che:
- il fine è la gestione economica di un territorio considerato “non valorizzato” (quindi cosa? Insignificante? Indegno?) il generare profitto, capitalizzare;
- il mezzo è far passare questa gestione per valorizzazione, riqualificazione, modernità e sviluppo facendo prevalere modelli esogeni, cioè esterni ed estranei che hanno soppiantato i progetti di turismo integrato e comunitario che, ad esempio Antoni Simon Mossa (quasi rimosso dalla narrazione e dalla memoria collettiva) stava già elaborando.
La toponomastica autoctona è stata sostituita con nomi inventati per essere riconoscibili, appetibili e attrattivi, (con il passaggio da una lingua ad un’altra).
Sono stati creati spazi esclusivi, dunque escludenti, servizi e abitazioni di lusso ed etra-lusso. Elementi che costituiscono degli status-symbol.
Gli spazi collettivi dunque sono diventati spazi privati pensati per il divertimento e per esperienze per persone ricche.
“L’Aga Khan non voleva limitarsi a creare una destinazione turistica di lusso, ma voleva creare un sistema economico nuovo”.
Vogliamo parlare di complessità? Bene! Parliamo del modello economico e socioculturale e delle sue conseguenze.
Quale eredità? Il modello economico
“Felicemente incastonata nel paesaggio”, “parte della macchia mediterranea che la circonda, “progetto fedele allo spirito del luogo”.
Anche per giustificare l’edificazione di ville di lusso ed extra lusso si utilizza la retorica della conversione e del recupero di “terreni e ruderi abbandonati”. Non solo: non è raro imbattersi, nelle riviste del settore, in riferimenti alle “strutture preistoriche sarde”. Questo è un altro elemento narrativo ricorrente: la cultura “millenaria” dell’Isola diventa uno strumento funzionale a “elevare” i processi di capitalizzazione e a corroborare “il mito-feticcio” della terra ancestrale, pilastro della trasformazione della Sardegna-luogo in arena di consumo turistico.
Per chi esiste davvero questo modello? Rappresenta l’eredità che vogliamo perpetuare?
Ci sono diversi temi su cui riflettere, ad esempio:
- Crisi abitativa: difficoltà a trovare alloggio a causa degli affitti brevi turistici.
- Privatizzazione degli spazi: interdizione di spiagge e campagne che dovrebbero essere beni comuni.
- Sfruttamento intermittente del territorio: ampi spazi occupati ma disabitati per la maggior parte dell’anno.
- Crescita dei prezzi dei terreni: rendendo l’accesso alla proprietà impossibile per i locali.
Quando si parla di complessità, di eredità, di sostenibilità bisogna avere il coraggio di includere nel discorso anche le dinamiche (economiche, sociali, antropologiche, culturali) che impediscono alle comunità locali, e ai sardi in generale, di immaginare alternative attraverso le quali costruire un futuro in cui il benessere delle persone e la salute dell’ambiente siano davvero al centro delle politiche di pianificazione e gestione del territorio.
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