Le contraddizioni nel discorso sul turismo sostenibile

Il turismo crocieristico è in continua crescita e la Sardegna, ormai da diversi anni, si è inserita nella corsa ad accaparrarsi sempre più scali.
Dopo la pandemia sembra che l’Isola stia raggiungendo numeri record e raccogliendo i frutti di una strategia che punta ad attirare sempre più visitatori.
Ma quali sono i reali benefici per i territori coinvolti? È davvero possibile “vivere” di questo tipo di turismo senza intaccare le risorse locali e l’equilibrio delle comunità?
Questo articolo esplora l’impatto economico, sociale e ambientale del turismo crocieristico, offrendo una riflessione sui lati meno discussi di un fenomeno in continua crescita.

Cagliari, Olbia, Golfo Aranci, Porto Torres, Oristano e Arbatax. Questi gli scali sardi in cui attraccano le navi da crociera in Sardegna. In un articolo di qualche mese fa, AGI preannunciava il 2024 come l’anno dei record con oltre 250 navi attese e una stima di almeno 650 mila passeggeri.
Settembre è stato un “mese da record” a Cagliari e l’apertura di Carloforte al mercato crocieristico è definito “un sogno”. Secondo il sindaco Stefano Rombi si tratterebbe del “conseguimento di uno storico traguardo, di rilievo internazionale per il porto tabarchino, uno stimolo per una promozione turistica, culturale, sociale ed economica dell’isola di San Pietro che possa mettere in chiara evidenza l’affascinante cornice che circonda la città di Carloforte”.

L’ipocrisia del discorso istituzionale sul turismo

Il mercato crocieristico iniziò a sorgere negli anni Settanta del Novecento e man mano crebbe fino a diventare uno dei pilastri del turismo di massa: è un settore in continua e (apparentemente) inarrestabile crescita.
Tecnicamente il turismo di massa si basa su “economie di scala, replicazione di prodotti uniformizzati e riduzione dei costi. (…) “Il turismo di massa include crociere su grandi navi , pacchetti vacanze sole e spiaggia, bus tour nei centri città che si fermano solo presso le attrazioni iconiche, parchi a tema (….) 

Risulta evidente la contraddizione del discorso sul turismo come volano di sviluppo portato avanti dalle istituzioni, che da una parte dichiarano di voler contrastare gli effetti dell’overtourism (attraverso fantomatici investimenti nei borghi ed aree rurali per favorire la nascita di nuove esperienze turistiche/culturali /alternative, il bilanciamento dei flussi turistici in modo sostenibile, trenini storici etc.) ma dall’altra si prodigano per aumentare il traffico delle navi da crociera. Per le autorità portuali poter vantare svariate decine di migliaia di visite è un biglietto da visita. Tale prospettiva si somma alla comunicazione ottimistica delle Istituzioni che fa leva sulla ricchezza di cui i crocieristi sarebbero portatori.
È per questo che si preferisce in molti casi trascurare vocazioni territoriali economiche radicate, con meno risonanza mediatica.
Qual è la reale ricaduta sui territori del turismo delle navi da crociera?
E anche se fosse consistente come si racconta: sarebbe tale da compensare i disagi per i residenti e i danni causati all’ambiente o ai territori?

I danni inevitabili del turismo

L’etica del turismo è dotata di un suo regolamento: il Codice mondiale di etica del turismo (1999), redatto da un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite (UNWTO, United Nations World Tourism Organization) alla quale parteciparono Stati membri e affiliati.
Il Codice non vincola gli Stati, ma raccomanda buone pratiche per ciò che concerne gli scopi del turismo, la sua realizzazione, i valori.
La pratica turistica è considerata un diritto e la libertà di spostamento deve essere tutelata (art. 7 e 8).
Il Codice contiene indicazioni sulla necessità di mantenere un equilibrio economico e di garantire la sostenibilità delle attività turistiche.
Limitare i danni della pratica turistica è un obiettivo importante e apparentemente condiviso dai soggetti che operano nel settore.

Per il solo fatto che il turismo esiste, il fenomeno causa un impatto. La consapevolezza su questo dato sembra essere diffusa.
Quali sono i danni da turismo?

1. Danni inevitabili (ad esempio quelli causati dai mezzi di trasporto).
2. Danni da eccesso di turismo (l’eccessiva quantità di persone in un luogo inadatto ad accoglierle).
3. Danni da comportamenti individuali errati (furto di sabbia, danneggiamento).
4. Danni da cumulo di comportamenti individuali (il consumo d’acqua in zone siccitose).

L’Osservatorio Nazionale sul Turismo crocieristico nel Mediterraneo

In Italia l’Ente Bilaterale Nazionale del Turismo attivò un Osservatorio che, giunto alla terza edizione, nel 2012 aveva rivelato quanto fosse limitato l’impatto del turismo delle crociere sull’economia italiana.
La comunicazione delle Autorità Portuali sommerge sotto una mole di dati una serie di implicazioni e, in generale, si tende a sopravvalutare i dati.
Tra gli elementi di cui tenere conto c’è l’estensione delle filiere connesse (dalla cantieristica al personale di bordo): sui territori incide il giro di affari a terra. Ricostruirne con esattezza i dati è complicato e questa difficoltà sembra essere parte del sistema. Nel 2012 l’Ente Bilaterale Nazionale del Turismo definiva la ricaduta sul territorio “ridottissima”.

L’Osservatorio Nazionale sul Turismo crocieristico nel Mediterraneo risulta oggi non attivo.
L’ultimo rapporto è proprio quello del 2012. 

Navi da crociera, impatto e consumi

I mezzi di trasporto sono i maggiori responsabili dell’inquinamento causato dal turismo di massa. Il rapporto “The return of the Cruise” del 2023 dell’organizzazione indipendente Transport & Enviroment ha evidenziato come, nell’anno precedente, le emissioni di ossidi di zolfo delle navi da crociera presenti in Europa abbiano superato di 4,4 volte quelle delle auto in circolazione in UE (253 milioni). Le criticità maggiori sono state rilevate in Italia, Spagna e Grecia.
Sempre a proposito di sostenibilità, quanto costa costruire e mantenere in attività questi colossi del mare?
Per una nave da crociera in grado di ospitare fino a 5 mila passeggeri il costo di costruzione può arrivare a quasi mezzo miliardo di dollari. Si tratta di piccole città galleggianti, in cui tutto è progettato in funzione del consumo: dal carburante al cibo, dall’elettricità all’acqua, ogni voce schizza alle stelle.
È difficile anche da immaginare cosa significhi produrre cibo per 4 mila persone. Non esiste forse una struttura ricettiva al mondo con un volume di consumo tale.
In una settimana si possono utilizzare:
30.000 uova e 7 tonnellate di farina; 300 kg di caffè. Mezza tonnellata di spaghetti.
Una tonnellata di petti di pollo. Più di 5 tonnellate di patate.
150 mila bottiglie di acqua. 3 mila litri di birra. 7 mila litri di latte.

A scapito di chi i prezzi sono resi accessibili? La manodopera a basso costo

La gerarchia all’interno di una nave da crociera è piramidale: al vertice c’è il comandante, al di sotto ci sono gli ufficiali e, a calare, il personale.
L’equipaggio supera il migliaio di unità e ad essere destinate ai lavori più duri, e meno pagati, sono persone razzializzate provenienti dal centro America, ma soprattutto da alcune regioni asiatiche. In alcune di esse sono nate scuole per reclutare manodopera (a basso costo) avvantaggiandosi delle differenze di costo della vita che caratterizzano le relazioni economiche di alcuni Paesi del mondo. Lo stipendio percepito dal personale delle navi da crociera è alto nel contesto di provenienza, ma è bassissimo in Europa.

Se, agli albori dell’industria crocieristica le paghe erano tali che imbarcarsi era un’opportunità alla ricerca della fortuna, oggi esiste una manodopera che lavora a condizioni inaccettabili per le persone europee. 
La filiera connessa al mercato crocieristico è, come già detto, lunghissima e conserva la struttura piramidale. La gestione dei servizi è basata su un sistema di guadagni che si riducono man mano che si scende dai vertici.

È chiaro che la responsabilità di alimentare un sistema come questo non è da imputarsi alle persone lavoratrici che ne ricavano guadagni irrisori e godono di scarse tutele.

Quando si pensa al concetto del “vivere di turismo” occorre interrogarsi a fondo sulla natura delle attività di cui si sta parlando.
Cosa vuol dire davvero “vivere di turismo”?
Quanto è coinvolta la popolazione residente? Ha voce in capitolo sui limiti da porre oppure vive solo i disagi che derivano da flussi turistici così imponenti?
Il turismo di questo tipo produce attività continue e costanti che contribuiscono a diversificare il sistema produttivo dei territori (e quindi le fonti di reddito)?
O si somma a pratiche economicamente poco redditizie, aumentando di fatto il grado di dipendenza verso l’esterno? 

Forse la domanda giusta non è se bisognerebbe / dovrebbe vivere di turismo, ma che tipo di turismo si vuole integrare nell’economia.

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Una risposta a “Il turismo delle navi da crociera”

  1. […] dei residenti sono diventate sempre più frequenti, tanto che non è più possibile ignorarle. Eliminare gli effetti negativi del turismo non è possibile: si può parlare di come mitigarne le conseguenze, ma per farlo occorrerebbe mettere in discussione […]

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