Il modo in cui raccontiamo i luoghi fa parte dei processi culturali e di costruzione della memoria collettiva.
Per lavoro io parlo della Sardegna, maneggio la narrazione e maneggiare la narrazione è una cosa seria, specie quando si parla di Sardegna.
Occorre diventare profondamente consapevoli delle dinamiche che possono influire sul modo in cui le persone (anche quelle sarde) pensano e parlano di se stesse. 
In Sardegna esistono due piani gerarchicamente sovrapposti: da una parte la cultura italiana, attualmente dominante e prevalente nel sistema scolastico, nelle istituzioni e nei media, e la cultura autoctona, che non trova posto nei luoghi di potere e di cultura o simbolicamente significativi.
Tale gerarchia è stata (ed è) funzionale alla costruzione e al consolidamento di un’identità nazionale in un territorio unificato solo dal 1861.
I processi di acculturazione legati all’italianizzazione hanno prodotto conseguenze complesse, una delle quali è che in Sardegna non c’è più una diffusione uniforme e condivisa della conoscenza del percorso storico e di tutti gli elementi che rendono quello sardo un contesto culturalmente ben definito.

Non parlo la lingua sarda: sono stata alfabetizzatata e socializzata come italiana, e le informazioni che ho acquisito nel mio percorso di formazione sono state superficiali e frammentarie perché a scuola, in Sardegna, la Sardegna non si studia.

Fare la guida in Sardegna

Io stessa, per anni, come guida turistica, ho raccontato la Sardegna esattamente come avrebbe potuto fare una persona straniera interessata alla cultura e alla storia sarda.
Non parlo il sardo, ho sempre sentito gli adulti intorno a me parlarlo tra loro, ma nessuno me lo ha insegnato: sono stata alfabetizzatata e socializzata solo come italiana. Quando ero alle elementari, dopo le estati trascorse a Villaputzu -dove sono stata esposta alla variante linguistica locale- probabilmente avevo preso l’abitudine di dire qualche parola in sardo. Pur non avendo subito un’imposizione di carattere coercitivo, ricordo che mia madre mi disse che le maestre le avevano consigliato di scoraggiare questa inclinazione (ho fatto le scuole negli anni Novanta). Non erano cattive insegnanti, ma ottime rappresentanti di un corpo docente formato per trasmettere alle alunne e agli alunni un paradigma culturale in cui la Sardegna era -è- un argomento minore, anche fisicamente collocato fuori dai libri adottati (in opuscoli, libretti, dispense) e nel quale l’unica lingua degna di essere imparata era -è- l’italiano.
Le informazioni che ho acquisito nel mio percorso di formazione sono state superficiali e frammentarie perché a scuola, in Sardegna, la Sardegna non si studia. E la bibliografia più diffusa e citata è condizionata dall’impostazione della storiografia ottocentesca, filosabauda e nazionalista. Ne parla Francesco Casula in questo articolo.

La scuola italiana in Sardegna infatti è rivolta a un alunno che non c’è: tutt’al più a uno studente metropolitano, nordista e maschio. Dunque non a un sardo. E tanto meno a una sarda.

È una scuola che con i contesti sociali, ambientali, culturali e linguistici degli studenti non ha niente a che fare. Nella scuola la Sardegna non c’è: è assente nei programmi, nelle discipline, nei libri di testo, nell’organizzazione.

Francesco Casula

Le visite guidate, uno strumento per conoscersi meglio

La consapevolezza di appartenere a un territorio così connotato non è, quindi, necessariamente profonda e collettiva. In Sardegna si confonde l’identità con l’identificarsi in tutto ciò che la rende speciale, caratteristica (l’amore per le bellezze della propria terra e una lunga serie di stereotipi e luoghi comuni). A essere labile è proprio la consapevolezza storico-culturale di sé: mancano gli elementi per riconoscersi come abitanti di un luogo con gli stessi confini da sempre, dove si parla una lingua (in realtà la Sardegna è una realtà plurilingue e policentrica), con una cultura definita e caratterizzata.
Le persone sarde, dunque, “oscillano” tra l’adesione a modelli esterni propri della cultura prevalente (quella italiana) e l’alterità rispetto a quei modelli, poiché “sentono”, intuiscono (oppure ne sono fortemente consapevoli) di appartenere a un contesto ben connotato.

Ciò non significa che non esista nelle persone sarde quella che si può definire un’intuizione di appartenenza, che però ha necessità di trovare conferme per organizzare la realtà di contesto.
Tra gli strumenti che il nostro cervello usa per organizzare e semplificare la complessità del reale ci sono gli stereotipi, forme di generalizzazione che attribuiscono caratteristiche simili a gruppi di persone o categorie di oggetti, o contesti.

Sulla Sardegna esistono idee e racconti talmente potenti, radicati e così ben costruiti che superano la realtà stessa.

Il turismo ha fatto propri questi meccanismi narrativi: la Sardegna ben si presta a essere dipinta come paradiso, terra esotica, dalla cultura millenaria, sospesa in una dimensione senza tempo. Sono tutte caratteristiche in cui è gratificante identificarsi: la distorsione del concetto di ospitalità, ad esempio, ha portato a voler soddisfare le aspettative esterne, corrispondendo a un immaginario, che tale è. Immaginario.
In che modo?
Facendo posto ai turisti pur di non scontentare nessuno (ne ho parlato in questo articolo) rimuovendo le scomodità a scapito di residenti e ambiente.
Mettendo in scena la tradizione (antichi mestieri, maschere de su carrasecare) a scopo intrattenitivo, assurgendo a simboli identitari elementi del patrimonio archeologico (la cosiddetta civiltà nuragica, i Giganti di Monti Prama) o culturale (il pastore, il mito della Sardegna vera custodita dalla regione interna). Oppure rafforzando l’archetipo narrativo della Sardegna come paradiso esotico, selvaggio e incontaminato. D’altronde in una terra che non offre prospettive, dove non siamo capaci di fare impresa, i cui abitanti sono disuniti, invidiosi, chiusi, la bellezza e la peculiarità non possono essere intaccate, vero?! Quanto meno ci restano queste certezze inattaccabili.

Le narrazioni sono potentissime e spesso conta più la verità di chi gestisce la narrazione perché lo fa esercitando anche un potere economico.
La subalternità della Sardegna è stata raccontata come legata a un’arretratezza che pare quasi innata e non frutto di processi storici e socioeconomici ben precisi. Ciò ha contribuito a interpretare lo sguardo o l’intervento esterno come portatore di progresso e a interiorizzare gli stereotipi.

Il valore aggiunto della riappropriazione culturale

In quanto guida e persona sarda che sta facendo riappropriazione culturale, sento una doppia responsabilità: verso chi in Sardegna ci arriva da fuori con un’idea falsata, e verso chi la Sardegna la abita (o ci è natə e ha scelto di vivere altrove) e scambia quegli stereotipi per tradizioni o elementi identitari. Non è una colpa vivere oscillando tra l’impressione che quanto di bello e interessante o importante accada altrove, e la percezione di appartenere a una cultura di cui andare orgogliosə senza sapere bene come incanalare il proprio senso di rivalsa.

Io credo sia importante offrire una visione della Sardegna che vada oltre l’immagine da cartolina, raccontandone la complessità, le contraddizioni, il suo essere calata pienamente nel presente, altro che ancestralità!

Raccontare i luoghi per quello che sono è il primo passo per riappropriarsi di una narrazione attraverso cui, per citare Franco Cassano, ri-guardare i luoghi nel duplice senso del riscoprirli secondo prospettive alternative, e di averne riguardo, prendendosene cura.

Se ti piace il mio approccio contattami per organizzare un tour oppure per coinvolgermi in un progetto di divulgazione sulla Sardegna!

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3 risposte a “Perché ho deciso di parlare di luoghi comuni e stereotipi sulla Sardegna?”

  1. […] suscitati da uno sguardo ‘altro’ e il replicare, sia nei contenuti che nella matrice, stereotipi e generalizzazioni molto parziali. Anche se in contraddizione tra loro, possono convivere nello stesso spazio […]

  2. […] una mentalità tipica dell’Europa colonialista. Nessuno degli autori che hanno alimentato le narrazioni della Sardegna come paradiso selvaggio e ancestrale in Europa, sembra sfiorato dal dubbio che la cultura sarda abbia sviluppato forme di resistenza al […]

  3. […] esiste un immaginario ben consolidato, fatto per lo più di stereotipi e luoghi comuni. Tra questi c’è la narrazione sulle […]

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